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La realizzazione di un’impresa di così notevoli dimensioni, sostenuta dal Comune, dalla Provincia e dalla Camera di Commercio di Lecce, comportava la rimozione del fondo sabbioso del litorale, che non permetteva facili ancoraggi, e soprattutto il risanamento della zona circostante di San Cataldo, paludosa e malarica, che si estendeva per oltre 56 ettari.
L’amministrazione comunale di Lecce, durante il sindacato dell'arch.
A. Guariglia (ottobre 1878 - agosto 1884), affidò lo studio del
progetto dell'ancoraggio all'ingegnere capo dell'ufficio governativo di
Bari, R. Cintio, il quale, nella sua relazione conclusiva, sostenne che
non vi fossero le condizioni per poter riconvertire a fini commerciali
il porto di San Cataldo. Sollecitava invece la classe dirigente leccese
ad investire le risorse nella bonifica della zona, attraverso la costruzione
di strade per agevolare la colonizzazione di quelle terre e restituirle
alla produzione agricola.
Il Consiglio comunale non accettò le conclusioni del tecnico barese e ribadì di chiedere al governo nuovi studi per l'ancoraggio di San Cataldo, un'opera "da lungo tempo e vivamente reclamata dal paese". |